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Ecco perché non ti ho mai chiamAuguri Ginevra

Ecco perché non ti ho mai chiamAuguri Ginevra

La vita pur nella sua contraddittoria complessità molte volte si alimenta di semplice regole, o se vogliamo ”verità”, una di queste è il diritto all’infanzia. Non sempre però esso è garantito. Troppe infanzie vengono negate, se pur in modo diverso: dalla negazione della stessa sostituita dal lavoro, alle morti violente causate, la malattia, le guerre, le perdite. In un contesto normale, o percepito come tale, altre possono essere delle violazioni dell’infanzia, che se pur meno tragiche di quelle appena citate, hanno il loro peso.

Uno di questi fenomeni nato in America, e che ha preso piede anche in Italia, è il fenomeno delle Baby Miss. Bambine adultizzate, truccate, in vetrina, esposte e sovraesposte, con il diritto dovere di essere belle, bellissime. Bambine modelle, modelle e non più bambine. Bambine in copertina, bambine da copertina, bambine lavoratrici, che sottraggono ore al gioco, alla scuola, per girare di casting in casting. Bambine bambole: sorridenti ed accondiscendenti. Con buona pace di un diverso modo di essere (future) donne. Tutto ciò mi atterrisce e spaventa. Sono una donna che non divide il mondo in stanche dicotomie, mi riservo il diritto di essere pensante, polemica, arrabbiata, e truccata, truccatissima, anche in casa. Mi riservo il diritto dell’acquisto dell’ennesimo cappotto, o rossetto, così come non disdegno i giri in libreria, biblioteca, Ginevra permettendo a teatro. Ma io sono un’adulta, o così dicono i miei documenti. Un’adulta complessa e ammantata da diverse fragilità, e se riesco a mantenere un equilibrio lo devo anche ad una serena infanzia. Vissuta semplicemente da bimba, senza troppe proiezioni o aspettative su di me. Il fenomeno delle baby miss in qualche modo ha invaso anche il nostro quotidiano (o forse è una cosa che esiste da sempre, Anna Magnani docet) bimba è sinonimo di bambola, nastrini, pizzi, e fiocchetti. Quando una bimba per sua stessa natura si sottrae a tutto ciò “E’ un maschiaccio”. No, non lo è: è una bimba che preferisce i pantaloni perché ne percepisce l’utilità per il gioco, che ama i capelli ribelli ai mille nastrini. Ecco perché non ti ho mai chiamato principessa. Non mi piace la principessazione dell’infanzia femminile. Non ho contro modelli, non credo siano utili in questo caso. Non amo neanche “l’educazione alternativa”: Ginevra cara hai diritto alle Barbie così come al rotolarti sull’erba. Hai diritto ad essere ciò che sei: una bimba. E non una bambola o un gioiello da mostrare, o peggio ancora il mio prosieguo, intesa come un’altra me. Ginevra cara hai il diritto alle tue bellissime, non educate, risate sonore ed argentine. Quella stesa risata fermata da un’istantanea: una foto che immortala il tuo ridere con i tuoi amici. Una foto che incornicia i tuoi quattro anni. Una foto che è una festa. La tua festa di compleanno. E guardandola, il giorno dopo, risento nella mia gola il sapore della tua libera risata. Auguri Ginevra, mia non principessa.

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