Le vie della seta per rilanciare l'Italia: occasione da non perdere
- Scritto da Alcide Simonetti
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Il Memorandum d'intesa tra Italia e Cina, siglato dal Vice-premier Luigi Di Maio, con il suo omologo cinese (il presidente della Commissione sviluppo di Pechino He Lifeng), sotto gli occhi del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del presidente Xi Jinping, non costituisce formalmente un vero e proprio accordo internazionale da cui possano derivare diritti e obblighi aventi efficacia vincolante tra i le parti, purtuttavia, non si tratta neanche di un enorme “spot elettorale”, per come, capziosamente, hanno tentato di far apparire i detrattori interessati del Governo giallo-verde.
In sostanza, l'anzidetto documento rappresenta una mera adesione politica dell'Italia alla “nuova via della seta” che favorirà a medio termine gli investimenti cinesi nelle infrastrutture italiane a cominciare da quelle portuali del settentrione (Genova e Trieste).
Per cui il Belpaese è diventato il primo paese del G7, simbolicamente, a sposare il progetto geopolitico lanciato dal leader Xi Jinping, in occasione del congresso del Partito Comunista Cinese del 2013, finalizzato ad accrescere l'influenza dell'impero del Centro nel mondo, tracciando i nuovi collegamenti commerciali alternativi a quelli esistenti. A tale disegno si oppongono, evidentemente, gli Stati Uniti, i quali, con l'amministrazione Trump, hanno già intrapreso una politica di chiusura protezionistica per limitare l'espansionismo della Nazione del Drago in aree geografiche storicamente controllate dalla Nazione a Stelle e Strisce, sia per ottenere maggiori benefici economici per i propri prodotti di esportazione come per esempio l'abbattimento dei dazi nelle materie dell'agroalimentare.
Pertanto, la Repubblica Popolare che vede da tempo nella penisola un rilevante partner economico, dotato di una posizione strategica nel cuore del Mar Mediterraneo e a pochi chilometri dal ricco Nord Europa, dovrà superare le dure resistenze di Washington che non gradisce gli investimenti cinesi nella penisola, essendo sua area d'influenza dalla fine della seconda guerra mondiale.
Difatti, gli Usa non digeriscono il rafforzamento della collaborazione nello sviluppo del 5 G tra Italia e Cina, stipulato a Roma, costituendo uno dei primari motivi di seria preoccupazione per gli americani, i quali reputano assai pericolosa la nuova tecnologia di connessione mobile ultra veloce, essendo in grado di mettere seriamente a repentaglio la sicurezza nazionale del Belpaese e di conseguenza la difesa degli alleati occidentali.
In altre parole, gli Usa considerano i colossi cinesi di Huawei e Zte dei pericoli per tutto l'occidente, essendo strumenti di penetrazione economica funzionali ai disegni del regime comunista di Pechino determinati ad accrescere l'influenza politico militare della Cina in più aree del pianeta.
Il nuovo esecutivo, al momento, che non vuole restare indietro nello sviluppo del 5G, né rinunciare agli investimenti cinesi, non ha inteso seguire i moniti di Washington che certamente, non rinuncerà all'influenza esercitata sull'Italia e cercherà di ostacolare le attività di Pechino nella Penisola, facendo, magari, leva sul fatto che Roma avrà bisogno dei finanziamenti privati americani per sostenere il debito pubblico una volta che la BCE porrà fine al quantitative easing.
La questione è tutta qui!
La vera sfida italiana sta proprio nella capacità di coniugare una maggiore collaborazione economica con la Cina, senza intaccare, però, il legame strategico con gli Usa.
Tutto ciò non è semplice!
Il raggiungimento di un equilibrio, per come sopra descritto, potrebbe rilanciare il Belpaese come un soggetto geopolitico essenziale sulle due sponde del Mediterraneo, assumendo un ruolo attivo e di congiunzione tra le prime due potenze al mondo.
Per cui l'adesione dell'Italia alla nuove vie della seta non implica di per sé una rinuncia al legame con gli Stati Uniti, il quale peraltro, non si è stracciato le vesti per i rapporti di cooperazione economica con i paesi europei atlantici come Grecia, Portogallo ed Ungheria, ovvero come la Germania, che resta il partner più rilevante per i cinesi nella vecchia Europa, né ha creato alcuna tensione le relazioni della super-potenza orientale con Israele, Filippine e Giappone, storici alleati americani.
Al pari di queste nazioni, l'Italia dovrà impostare una cooperazione pragmatica con la Repubblica Popolare, fondandola meramente sul principio di reciprocità, nonché del proprio interesse nazionale.
Di conseguenza nel rapporto con la Cina, la partecipazione dell'Italia dovrà essere attiva, contribuendo quota-parte con le proprie risorse alla costruzione del nuovo sistema tecno- infrastrutturale.
Tutto ciò dovrà comportare una maggiore attenzione nel monitoraggio degli investimenti stranieri in settori di interesse strategico, escludendo la collaborazione tecnologica nei settori di assoluto interesse nazionale, attraverso l'adozione di misure legislative che proteggano la nostra sicurezza e quella atlantica.
In tale contesto, certamente sarebbe rafforzato il ruolo geopolitico italiano in Europa ed in Africa, attraverso il legame con la Cina, la quale ha bisogno di un paese occidentale affacciato sul Mar Mediterraneo con cui collaborare per elevare la qualità degli interventi programmati, nonché risultare più affidabile ai paesi africani in vista di una stabilizzazione sul versante meridionale del Mediterraneo che tanta preoccupazione desta agli italiani ed europei.
Come nel passato l'Italia potrebbe ottimamente svolgere quel ruolo ponte tra occidente ed Oriente, assumendo un ruolo di primo piano nella geopolitica mondiale, offrendo un valore aggiunto alla comunità europea.
Per cui non deve sfuggire al Belpaese tale opportunità storica per rimanere i protagonisti, anche, del nuovo millennio.
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Emanuele Armentano