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Harris vs Trump: il futuro dell'America a pochi giorni dal voto

I sondaggi prevedono un testa a testa tra Kamala Harris e Donald Trump il cui successo elettorale sarebbe legato agli “Swing States” (Pennsylvania, Georgia, Michigan, Wisconsin, North Carolina, Arizona e Nevada) di cui North Carolina, Georgia ed Arizona sono tradizionalmente di matrice repubblicana, mentre Michigan, Wisconsin e Nevada sono Stati del cosiddetto Blue Wall.
Alla fine, tutta la partita si giocherà sulla conquista della Pennsylvania, Stato contendibile (assegnatario di 19 grandi elettori), che entrambi i candidati non possono permettersi di perdere.

Pertanto, chiunque vincerà il 5 novembre, tra l’altro per una manciata di voti, dovrà operare in un Paese diviso dove è lontano, ormai, il tempo della “concession speech”, il rito della telefonata di congratulazione del candidato perdente all'eletto nuovo Presidente il cui gesto ha sempre rappresentato il simbolo del buon stato di salute del sistema democratico ed istituzionale americano.
Sono circa due decenni che l’America è spaccata in due!
Certamente non è la prima volta che accade in una elezione nazionale, non sarà l’ultima, tuttavia la differenza sta nel fatto che le due metà stavolta non esprimono solo opinioni e interessi politici diversi, bensì due idee alternative dell’America.
Due identità in rotta di collisione inconciliabili.
L'assalto al Campidoglio avvenuto il 6 gennaio 2021 a Washington, non è stato un episodio casuale, ma il risultato di un cambiamento profondo che gli USA stanno vivendo negli ultimi anni e che può essere definito proprio una crisi interna.
In sostanza, gli Stati Uniti sono “un paese profondamente depresso”!
Tutto parte dal disincanto dei propri cittadini, i quali secondo la visione messianica yankee con l’egemonia Usa sarebbe finita la Storia (Vedi Francis Fukuyama) perché il mondo avrebbe avviato un processo di americanizzazione tramite la forza del mercato, la forza della democrazia e la forza militare.
Tale sincera aspettativa si è scontrata con la realtà, avendo prodotto l’egemonia post- guerra fredda in trent’anni, invece, una serie di sconfitte militari (Iraq – Afghanistan), forti disuguaglianze economiche in patria (38 milioni di poveri), pesanti oneri interni, ormai incontrollabili (30 trilioni di dollari di debito pubblico), nonché impegni internazionali gravosi (Conflitto Jugoslavia, conflitto Ucraina, conflitto Medioriente). Alla suddetta fatica deve aggiungersi il fatto che è stata percepita dagli americani una palese ostilità di gran parte del mondo a tutto ciò è “a stelle e strisce”, dai suoi valori al suo modello di organizzazione sociale, economica e culturale.
L’approccio geopolitico medio-tempore non subirà modifiche determinati, al di là di chi risiederà alla Casa Bianca, essendo la partita del tutto interna, finalizzata alla ricostruzione della coesione nazionale per scongiurare una seconda guerra civile che molti già ritengono in essere, come a “Bassa frequenza” (Vedi editoriale Washington Post del politogolo di Robert Kagan), tant’è vero che si è arrivati al punto che l’avversario politico non è più considerato un rivale da battere sul piano elettorale ma si è trasformato in un nemico esistenziale. Da queste premesse muovono sia il rifiuto dell’America trumpiana di accettare la vittoria di Biden nel 2020 (e il conseguente assalto al Campidoglio dell’Epifania 2021) sia la narrazione democratica sulla minaccia “fascista” alla democrazia rappresentata dai sostenitori trumpiani, convinti di vivere in una “tirannia”, di essere stati “derubati” nel loro diritto di voto.
Stavolta, dunque, lo scontro è fra i liberal-progressisti delle coste atlantica e pacifica, sostenitori della “cultura woke” e “cancel culture” e i tradizionalisti dell’interno -la cosiddetta flyover America- dove la classe operaia e i ceti medio-bassi bianchi soffrono della deprivazione di status nei confronti delle minoranze in un quadro di consistente riduzione della ricchezza dovuta alla distruzione del tessuto produttivo industriale, nonché di una crescita galoppante dell’inflazione.
Questa fatica imperiale determinerà un ritorno a una versione in parte “isolazionista”   degli Usa nel senso di un ritorno a riconcentrarsi sulle questioni di casa propria dopo vent’anni di guerre in giro per il mondo ed inutili battaglie al terrorismo.
Per le provincie dell’impero, compresa l’Italia, quindi sarà un risveglio traumatico alle proprie responsabilità, essendo altre le urgenze americane, per come sostiene Biden: “abbiamo tre priorità: primo salvare la democrazia americana, secondo salvare la democrazia americana, terzo la Cina”.

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