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Santoianni, Aic: il Covid ha fatto emergere la centralità dell’agricoltura "Made in Italy”.

Il presidente AIC, Giuseppino Santoianni Il presidente AIC, Giuseppino Santoianni

ROMA - Una fotografia a 360 gradi quella che scatta il presidente dell'Associazione italiana coltivatori, Aic, Giuseppino Santoianni nell'era post Covid. Dalla centralità dell'agricoltura alla necessità di una rete diplomatica forte che possa sostenere il made in Italy sui mercati esteri. Ma anche "agri-cultura", ovvero il patrimonio culturale e di tradizione che il settore Primario rappresenta in ogni suo segmento produttivo. 

"Recuperare il gap di dipendenza alimentare europea", spiega ad AGRICOLAE. "L’agroalimentare è emerso come settore strategico – forse per la prima volta in modo così netto – nel corso di questa pandemia. La necessità di essere autosufficienti dal punto di vista sanitario e alimentare, quantomeno per i beni di prima necessità, si è affermata con forza nello spazio europeo. È ora il momento di colmare questo gap di dipendenza, puntando su filiere corte e prodotti europei. Non in un’ottica nazionalistica - il Made in Italy per primo non avrebbe che da perdere da un ritorno al protezionismo - ma nell’ottica di un approccio più sano alle materie prime. Il basso costo non può essere l’unica bussola, il cibo è vita. Non dimentichiamolo oggi che le lunghe file davanti ai supermercati sono un ricordo", prosegue. "Puntiamo sugli agricoltori europei, rimodellando la PAC di conseguenza. Il semestre tedesco alla guida del Consiglio dell’UE, che sta per iniziare, è il momento giusto per affrontare con decisione questo tema viste anche le posizioni espresse dalla ministra tedesca Julia Klockner". Per il presidente AIC occorre poi "veicolare il Made in Italy all’estero tramite un canale GDO ad hoc". "Il Made in Italy - spiega - va valorizzato e sostenuto di più dalla nostra rete diplomatica. Troppo spesso le aziende si devono muovere da sole all’estero, senza una presenza istituzionale dedicata a sostenerle". "È un passo positivo in questo senso - insiste - la decisione di prevedere un addetto all’agroalimentare nelle Ambasciate italiane all’estero. Altri paesi lo fanno da anni. Uno slancio in avanti sarebbe la GDO del Made in Italy da portare all’estero attraverso accordi bilaterali. Attenzione però: valorizziamo anche i piccoli produttori, troppo spesso non aiutati dalle misure generali di sostegno all’agroalimentare. Essi hanno le giuste potenzialità per ritagliarsi delle nicchie di mercato estero se adeguatamente sostenuti. Inoltre i prodotti dalla marcata tipicità territoriale e legati alle culture di cui è ricca la nostra Italia sono un richiamo importante a visitare il Belpaese. Perciò sostenerne la commercializzazione all’estero è un investimento anche sul turismo. Agroalimentare, cultura e turismo italiani sono sempre più interconnessi e vanno promossi oggi più che mai in una logica di sistema Paese". Cultura e coltura vanno di pari passo. E AIC ha intrapreso in questo senso alcune iniziative per coniugare due settori che in sinergia possono rappresentare un potenziale esponenziale. "Noi di AIC, insieme a Treccani, abbiamo intrapreso nelle settimane di progressive riaperture un viaggio virtuale da Sud a Nord per raccontare come sta ripartendo l’Italia, raccogliendo testimonianze di gravi problemi e di ammirevole impegno. Coltura e cultura condividono l’etimologia latina – colĕre, coltivare – e in Italia sono legate da storia, patrimonio artistico e immateriale, impegno di donne e uomini per i territori. Due mondi intrecciati, che si alimentano a vicenda ed entrambi tanto fragili quanto centrali nella vita degli italiani. Da questo viaggio abbiamo capito che è necessario uno sguardo lungo sul futuro e che servono con urgenza scelte strategiche in favore di chi ogni giorno cura e riempie di vita i nostri territori". Ma nulla si può fare senza garantire alle aziende la liquidità: "molti piccoli agricoltori ci hanno segnalato immediatamente che le banche non concedevano la liquidità promessa dal Governo", spiega ancora Santoianni. "Penso ad esempio a zone del Mezzogiorno dove la consueta ritrosia a concedere prestiti non è affatto mutata. D’altra parte non è spingendo gli agricoltori a indebitarsi a oltranza che li si aiuta, lo Stato deve sostenerli dando nuova liquidità". Per questo occorre "investire su un agroalimentare sano e prodotto rispettando i lavoratori". "Un altro fattore fondamentale balzato all’attenzione di tutti con l’emergenza Covid è legato alle condizioni - sia igienico-sanitarie che lavorative - in cui si produce il cibo", precisa ancora il presidente AIC. "Dal mercato di Wuhan al focolaio tedesco nel mattatoio della Renania Settentrionale - dove sta emergendo uno scenario di precarie condizioni di impiego e alloggio della manodopera straniera addetta ai processi di trasformazione - la sfida da cogliere è darsi alti standard di qualità e tutele e poi rispettarli. Le aziende virtuose devono essere incentivate dall’Europa con linee di finanziamento dedicate a nuovi investimenti. È nel pieno interesse in primis umano ma anche economico degli imprenditori agricoli impiegare manodopera tutelata e valorizzata. Per questo come AIC abbiamo lanciato a marzo un appello sottoscritto da oltre cento esponenti del mondo accademico, dell’associazionismo e semplici cittadini, chiedendo l’emersione del lavoro nero nei campi, sia di persone italiane che straniere". "Queste ultime per di più “invisibili” in un momento di necessario tracciamento per la tutela del bene individuale e collettivo della salute. Bene quindi la decisione del Governo di agire in questo senso. Regolarizzare e liberare chi è sfruttato dal caporalato va a pieno vantaggio delle aziende sane, che sono la stragrande maggioranza e subiscono la concorrenza scorretta di chi sfrutta i lavoratori. Contemporaneamente abbiamo messo in luce quanto fosse importante sciogliere i lacci che non permettono ai percettori di ammortizzatori sociali di svolgere lavori in agricoltura. Ora che anche questa posizione è stata accolta, rendiamola strutturale incentivando gli italiani ad avvicinarsi all’agricoltura". "Chiediamo ad Anpal di lavorare su questo, così come di occuparsi di incrociare domanda e offerta di lavoro agricolo", conclude. "Lasciare tutto in mano alle regioni è sbagliato perché non fa che accrescere il gap esistente in termini di efficienza e organizzazione. L’abbiamo ribadito più volte, speriamo di essere ascoltati al più presto".

 

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