La testimonianza di Giampietro Caporale primo guarito da Covid-19 In evidenza
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ROGGIANO GRAVINA – È nella sua casa da poco più di quarantottore e non appena rimesso in forze rispetto alle dimissioni di mercoledì 1° aprile, Giampietro Caporale – 45 anni, nella vita assicuratore originario di Altomonte – si è concesso telefonicamente al nostro taccuino.
«Dopo venti interminabili giorni è finita questa disavventura! Esclama. Sono estremamente felice di aver superato questa brutta infezione e devo dire grazie a chi mi ha curato amorevolmente». Chi vuole ringraziare a proposito? «Devo tanto all’incoraggiamento di infermieri, medici e personale socio sanitario. Ma anche alle preghiere che non sono mai mancate. Poi alcune manifestazioni di vicinanza e affetto ricevute tramite il telefono, mio inseparabile amico specie nei giorni di isolamento. Fra gli altri, sicuramente Giorgio, un caro amico di Zumpano, e poi quello del compagno di stanza, Fausto di Cariati, un medico che è ancora lì ricoverato». Ai medici, in particolare, cosa si sente di dire? «Devo dire grazie al dottor Antonio Mastroianni, direttore del reparto malattie infettive, ma a tutta l’equipe presente». Ovviamente gli affetti più cari vanno ricordati. «Si, è scontato dire un enorme grazie a mia moglie, mia figlia, alla mia famiglia e quella di mia moglie, ai parenti tutti, al mio medico, il dottore Antonio D’Ingianna di Altomonte, agli amici, ai colleghi, ai teamworking, e alle persone che mi hanno manifestato vicinanza e affetto». Quando è cominciato tutto? «I primi sintomi della malattia, che sembrava all’inizio una banale influenza, sono comparsi lo scorso 3 marzo: all’inizio lievi poi sconvolgenti fino a giorno 11. Tra l’altro, il 6 marzo mattina – era un venerdì dato che mi sentivo meglio sono andato a trovare mia madre ad Altomonte e con lei ho salutato altri parenti. Poi cosa è successo? «Quella sera stessa la febbre è tornata massiccia: 39,9 gradi!». Quindi? «Il mio medico ha rafforzato la terapia ma purtroppo mercoledì 11 la situazione è peggiorata. Da qui il repentino trasferimento all’Annunziata di Cosenza, il triage e la Tac con diagnosi inappellabile: polmonite interstiziale in Covid-19. Da qui il ricovero nel reparto di Malattie infettive per le cure e gli accertamenti del caso. «All’inizio ho avuto difficoltà a sopportare la cura antivirale – prosegue il suo racconto – dal secondo giorno di ricovero fino al 30 marzo ho fatto ossigenoterapia, poi man mano il medico l'ha diminuita fino a chiuderla. È una terapia che fanno tutti. Ed è necessaria: aiuta il paziente a respirare con meno fatica visto che i polmoni sono malati di polmonite». Siamo nella fase finale prima della guarigione? «Sì, il 20 marzo una nuova Tac con esito di risposta parziale alla terapia in atto anche con il “Tocilizumab” come prescritto dai medici e quindi lunedì 30 un nuovo tampone, ripetuto martedì 31 dopo ventiquattrore». Cosa è accaduto dopo i due responsi “negativi”? «Sono letteralmente scoppiato in un pianto prorompente e liberatorio che ho condiviso con la mia famiglia tramite una videochiamata: è stata la fine dell’incubo!». Infine, ricordi positivi e negativi? «Positivi, a parte le cure del personale davvero instancabile, la compagnia del mio telefono; negativi: sofferenza, paura, specie l’isolamento totale in una stanza nei primi tre giorni. Adesso riposerà ma cosa consiglia agli altri. «Fino al 15 aprile dovrò stare a riposo con le relative cure a domicilio, ma a tutti un solo messaggio: «restiamo a casa, uniti si vince, andrà tutto bene!».
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