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Luzzi, consolidato l'antico pozzetto dello storico acquedotto della Sambucina

Luzzi, consolidato l'antico pozzetto dello storico acquedotto della Sambucina

LUZZI - Torna al suo originario splendore l’antico pozzetto collegato al secolare acquedotto della Sambucina realizzato dai monaci cistercensi. Il manufatto, le cui condizioni di degrado erano state segnalate agli enti competenti già sin dai primi anni settanta dal giornalista luzzese Michele Gioia, è stato finalmente consolidato e restaurato. 

A riuscire nell’ardua impresa è stata l’associazione culturale “Totonno Palermo”, di cui è presidente Francesco Longo, che nel 2018 aveva sottoscritto un accordo di programma con la Soprintendenza Archeologica e Belle Arti e Paesaggio, l’Università della Calabria, il Comune di Luzzi e le associazioni “Geomeda ISS” e “Insieme per Kyme-Archeologia nel Mediterraneo”. Accordo finalizzato all’avvio di un progetto di ricerca, recupero e valorizzazione dell’antico acquedotto dell’abbazia cistercense della Sambucina, risalente al XII secolo. L’idea della ricerca, infatti, è nata in seguito alla segnalazione dello stato di degrado della struttura in pietra di forma cilindrica, un pozzetto ancora visibile sul ciglio della strada che da Luzzi porta in Sila. Una mappa pubblicata dallo storico luzzese Giuseppe Marchese, risalente forse agli inizi del 1400, presenta in forma schematizzata l’antico acquedotto della Sambucina. Il disegno evidenzia in maniera chiara l’importante struttura, che inizia dalle propaggini della Sila, precisamente dalla montagna della Noce, per giungere ad un pozzetto di derivazione da dove partono due condutture: una in direzione della Sambucina e l’altra scende in direzione del paese di Luzzi. Da circa un anno sono iniziati le ricerche per ricostruire il tracciato dell’acquedotto cistercense. I numerosi sopralluoghi, coordinati dall’ingegnere Gianpiero Basile con gli amici dell’associazione “Totonno Palermo”, hanno consentito di ritrovare, a volte nascosti nelle boscaglie e in sentieri impervi, pozzetti di derivazione. Sono stati georeferenziati almeno dieci tratti e lacerti di acquedotto che presentano le stesse caratteristiche strutturali e la stesso tipo di canalizzazione. La seconda fase del progetto, in parte già ultimata, prevede indagini col georadar per individuare i tratti ancora sconosciuti e sepolti dell’acquedotto.  “La ricerca - spiega il professor Antonio La Marca, docente universitario e membro dell’associazione - mira anche alla possibilità di capire quale connessione possa esserci tra l’antico acquedotto e le ripetute frane che da sempre interessano il territorio in oggetto. Va evidenziato - continua La Marca - come i risultati derivanti da queste prime fasi del progetto siano assolutamente di carattere preliminare, data la necessità di integrare le schede sinora preparate con ulteriori dati derivanti da fonti bibliografiche ed archivistiche. Restano infatti ancora poco coperte alcune aree del territorio dove sicuramente esistono altre evidenze dei resti dell’acquedotto”. Per il docente dell’Unical, nonostante ciò, emerge comunque un quadro già sufficientemente interessante “che ben evidenzia l’enorme rilevanza che l’approfondimento degli studi può rivestire questa importante infrastruttura idraulica, questo singolare bene culturale poco conosciuto o meglio dimenticato, che certamente rappresenta un patrimonio di grande interesse storico - archeologico e merita - afferma ancora La Marca - anche un’attenzione particolare, ai fini della tutela e della valorizzazione anche per il suo ottimo stato di conservazione”.

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