È morto Franco Fusca, l’amico, il poeta, l’intellettuale, il Provveditore In evidenza
- Sul filo di un’onda ha preso il volo come un gabbiano
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Franco Fusca non c’è più! È partito verso altri deserto o verso altri mari! Non voglio esserci. Non potrò esserci. Non devo esserci. Una promessa antica! Ai nostri funerali non possiamo partecipare. Tu al mio. Io al tuo. Non possiamo sancire la nostra fine. Terrena. Tanto meno possiamo assistere a quel “viaggio” che tanto ci piaceva, e per il quale abbiamo creato un viaggiare viaggiando. Sempre e comunque.
Non voglio esserci al tuo funerale. Perché scaverei il solco nella tua vita trasformandola in morte definitiva.
Devo sapere che tu non sei morto. Tu sei in quella vacanza del viaggio che si chiama assenza fisica. Ti ricordi quella tua poesia che a me dedicasti, molti anni fa, e che diceva che andremo avanti come due querce. Anche nell’assenza di uno dei due. Non voglio assistere ai riti. Al funebre attraversamento delle condoglianze, al pianto del figlio, della vedova, degli amici stretti e lontani.
Io e te eravamo altra cosa. Non in amicizia. Ma nella vita. Lo siamo sempre stati.
Tu sei morto? Il riso è una armonia delle allegorie.
E le tue pagine? Le tue poesie, i tuoi versi, il tuo costante giocare con la vita.
Hai giocato ancora con la vita. A scacchi con la morte. Come il cavaliere di Durer. Il cavaliere e la morte. ma io come nei miei canti sciamani ti considero un viandante che pazienta sul filo dell’orizzonte con la tua barba da saggio e il mio invito a raccogliere sempre un Namaste.
Franco, abbiamo percorso tante stazioni. Il treno in alcune non si è fermato. In altre si è fermato troppo e i tuoi versi, i tuoi canzonieri e il tuo amore cantato come in un Cantico era il percorso obbligato per una esistenza fatta di sorrisi.
Tu mi dicevi che dovevo sorridere. Io ti dicevo che dovevamo raccoglierci in religioso silenzio.
Ed ora che il silenzio è giunto, forse mai improvviso, noi crediamo alla morte come improvvisazione e non è così, siamo perdenti su tutto il fronte o su tutte le frontiere.
Due querce io e te che dagli anni Settanta abbiamo costruito tasselli di vita non di amicizia. Le amicizie si spezzano come ramoscelli al vento.
Noi eravamo querce.
Nulla accade improvvisamente.
Hai voluto stabilire, regolarizzare, definire un percorso inventandoti, da istrione come eri e sei, un gruppo su WhatsApp chiamandolo il Viaggio. Pensa un po’? Il viaggio. Baudelaire che tu tanto leggevi invitava al viaggio e anche quella filosofia della spiritualità, nella quale in questi anni hai cimentato il tuo esserci dentro con le tue testimonianze, preannunciava un attraversamento ascoltando (leggendo) ogni mattina le parole di don Francesco Savino, grande personalità cristiana, e si comunicava…
Sì, io questo viaggio su W.Z. un bel giorno ho cercato di interromperlo perché ero convinto e resto convinto che il viaggio ha sempre una sua partenza, ma può avere porti e isole completamente diversi/e.
Tutto si è compiuto, è la recita cattolica. Io vivo il cammino degli Illuminati e il monaco che porto in me incontrerà un bel giorno uno sciamano e si diranno anche di questa tua assenza. Sul filo di un’onda come un gabbiano ha preso il volo!
Tu non sei morto. Sei assente. Tu non sei distante. Sei nelle lontananze/vicinanze.
E ti parlo senza citare i tuoi libri, i tuoi titoli, le tue ricerche, i tuoi numerosi studi…
Il tuo essere come me Arbereshe e alla cui cultura hai dedicato, insieme alla pedagogia e agli incarichi istituzionali (hai ricoperto incarichi istituzionali partendo dal basso come insegnante elementare sino a diventare Provveditore), tante energie.
Quando si va in vacanza si porta un solo libro cartaceo e il resto è vento… Che il dio del Sole sia con te …
Ricordi che parlammo spesso di quei due film che rivedemmo una sera insieme a Roma (due film in una serata e li avevamo visti già altre volte): “Anonimo veneziano” e “La prima notte di quiete”? Ebbene, ce lo siamo ricordati anche al funerale di mia madre, ad ottobre 2015, e tu mi dicesti: quante copie hai ancora di quel libro? Ora una sola mi è rimasta. La conservo per me!
Ovvero il “Qohélet o L’Eccliaste”.
Il personaggio di “Anonimo veneziano” portava sempre in tasca il suo “Qohélet” e spesso apriva la stessa pagina e recitava: “Ha la sua ora tutto/E il suo tempo ogni cosa/sotto il cielo/C’è il tempo di nascere/e il tempo di morire…”.
Ma io ti recitai i versi che già tu conoscevi per aver scritto i tuoi canzonieri amorosi che provengono dal “Cantico dei Cantici”: “Il re mi ha introdotto nelle sue stanze./Esultiamo e gioiamo in te”.
Quei due film lontani nel tempo (il Tenco che si aggrappava al nostro tempo: e lontano lontano nel tempo…) sono rimasti come sentinelle del nostro esserci tra presenza e vacanza.
La prima notte di quiete?
Ebbene sì, dopo la vita o dopo la morte?
Non posso esserci non dovrò esserci non voglio esserci al tuo funerale come non ci sono stato, per suo volere, a quello del mio maestro, e non voglio venir meno ad una nostra promessa: quella di esserci per non esserci e veder partire uno dei due…
Certo, il nostro Pavese ci dirà: Ci saranno altri giorni altri risvegli e mi racconterai la storia di una notte che si è persa dentro una conchiglia e l’eco non era un rumoreggiare ma l’inizio di un’onda che cercava il silenzio per riposare.
E ti ascolterò in questa tua passeggiata rivedendo un anonimo veneziano nel quale si udrà l’antico “concerto che dice la rassegnata disperazione per la morte di un uomo…. E forse di tutto ciò che è già vissuto abbastanza”.
Con la chiusa di questo romanzo non ti saluto. Ma non ti saluto affatto.
Gli appuntamenti saranno segnati dal calendario.
Per andare oltre o forse per restare prima dell’oltre.
Mantengo fede alla nostra promessa.
Si vive la disperazione ma la pazienza ci aiuta ad attraversare il sogno. Nato a Spezzano Albanese nel 1948 e morto a Corigliano alle 13.30 di giovedì 30 giugno 2016.
Non posso vederti partire… Non voglio… Non devo…
Piefranco Bruni
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