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“Cuori in Atlantide” di Stephen King

“Cuori in Atlantide” di Stephen King

Quando nel 2000 Stephen King pubblica la raccolta di racconti “Cuori in Atlantide” è uno scrittore ormai affermato, conosciuto per capolavori del genere horror e non solo. Titoli che hanno venduto milioni di copie e sono stati visti nei loro adattamenti cinematografici da altrettanti appassionati spettatori. L’impresa di King non è del tutto nuova visto che l’autore del Maine ha già al suo attivo altre cinque raccolte, ma la presente possiede delle caratteristiche peculiari che la rendono unica rispetto alla produzione breve del re dell’horror.

I cinque racconti che compongono “Cuori in Atlantide” sembrano seguire quelle traiettorie magiche che King ha già sperimentato nei suoi romanzi, come se l'autore stesso fosse dotato, e chissà che non sia così, di una luccicanza che gli permette di “toccare” i fili segreti che collegano i destini umani, con una leggerezza e un intuito simili a quelli degli aborigeni australiani quando seguono le loro vie dei canti. Dettagli apparentemente insignificanti, bivi banali che si trasformano dietro le lenti di King in storie tanto inquietanti quanto più radicate nel mondo reale. Una sospensione dell’incredulità di cui l'autore è un maestro indiscusso.
Possiamo leggere i cinque racconti come un unico romanzo dove il giovane Bobby Garfield segue la storia narrata da Ted Brautigan attraverso “Uomini bassi in soprabito giallo”, “Cuori in Atlantide”, “Willie il cieco”, “Perché siamo finiti in Vietnam” e “Secondo le celesti ombre della notte” con il quale si chiude la raccolta.
In queste storie più che al soprannaturale, o allo splatter, King fa ricorso al perturbante creando atmosfere capaci di inquietare e trasportare il lettore in una realtà che è tanto più paurosa quanto più radicata nel mondo reale. Ecco allora che nel racconto che dà il titolo all’opera un semplice gioco di carte diventa strumento capace di sconvolgere le vite di un gruppo di ragazzi dell'Università del Maine, la stessa frequentata tanti anni prima dall’autore.
Il gioco in questione si chiama Hearts ed è conosciuto in Italia con il nome di Peppa. C’è addirittura a Torino un’associazione dedicata a questo gioco: “Il Circolo della Peppa”. Senza entrare nel dettaglio possiamo dire che è simile al blackjack, dove il giocatore non deve superare il valore totale di 21 per poter battere gli avversari. Stesso discorso in Hearts dove i giocatori, per poter vincere, devono stare attenti a non andare oltre un determinato punteggio, nel caso specifico il valore corrisponde ai 100 punti. Sarà proprio Hearts a trasformarsi in un elemento capace di sconvolgere le vite dei protagonisti.
È in questa sottile deviazione dal sentiero conosciuto che si struttura la narrazione degli altri quattro racconti. Nel primo (“Uomini bassi in soprabito giallo”) le storie raccontate dal misterioso Ted Brautigan cambieranno per sempre la vita del giovane Bobby Garfield. In “Willie il cieco” il protagonista è un vecchio reduce, persona apparentemente normale, ma nel cui passato si  nasconde un terribile segreto. Nel racconto compare, anche se marginalmente, Bobby Garfield che fa da filo conduttore delle cinque storie brevi. Il quarto racconto è forse quello più debole dal punto di vista narrativo. La relazione tra il protagonista John Sullivan, vecchio amico di Bobby, e un fantasma non è di certo all’altezza delle storie precedenti.
Con “Secondo le celesti ombre della notte” si chiude la raccolta. Storia inserita all’ultimo per dare coesione all’intera opera. Troviamo un Bobby Garfield ormai invecchiato e i cui ricordi si mischiano a petali di rose rosse come regalo di un vecchio amico. Immagine che è già anticipazione della saga della Torre Nera visto che attorno al mistico edificio che sostiene gli universi troviamo un campo di rosse rosse mai visto prima da occhi umani. Ma questa è per l’appunto tutta un’altra storia.

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