L’attesa.
Attendere qualcuno o qualcosa è snervante,nella migliore delle ipotesi. I rimandi filosofici/letterari sono infiniti: uno su tutti Samuel Beckett, padre del teatro dell’assurdo. Aspettando Godot, la sua opera più nota, oltre ad averci spiegato molto sulla condizione umana, ( non è, forse, il destino di tutti aspettare qualcosa che non arriverà mai? Tutti noi chi più chi meno consapevolmente viviamo nel nostro privatissimo palcoscenico in attesa di quel Godot che non arriverà mai sulla scena) ed oltre ad essere anche una bellissima canzone di Claudio Lolli, è diventato un modo di dire. Ma anche l’attesa ha le sue sfumature. Essa può essere bella come il desiderio. Ed anche qui i riferimenti colti non mancano: dal (sempre) mio amatissimo Giacomo Leopardi all’adorato William Shakespeare, da “La sera del dì di festa” a “Romeo e Giulietta”, passando per la pubblicità del Campari. E’ vero: l’attesa è essa stessa piacere, desiderio, attimo sublime dia infinita emozione, bellezza palpitante. Basti pensare alle nostre di vite, al di là di Leopardi e Shakespeare. Nell’attesa di un ritorno o di una partenza è già insito il viaggio stesso. Così come nell’attesa di un bacio vi è già il sapore dell’amato. Gli esempi potrebbero essere infiniti, ma la mia mente corre veloce ai ricordi, quell’unico paradiso dal quale non potremo mai essere cacciati, per dirla con Sartre. E nei ricordi l’anima si perde nell’infanzia. In questo clima pre-natalizio ricordo l’attesa del regalo, dell’albero, della cena dai nonni, della recita scolastica, un’attesa che non ha avuto più la stessa intensità. Vale per il Natale, l’estate, il mare, se pur (mio malgrado o per fortuna, non saprei dire) molte emozioni giungono ancora da una me stessa bimba alla me stessa adulta, ma l’infanzia è lontana, passata, finita. Alcune emozioni le avevo accantonate. Fino ad oggi. Giorno in cui attraverso due occhioni, grigi ed immensi, ho capito cos’è il valore dell’attesa. Della felicità, e forse della vita. Con mia figlia gioco a “Ti prende mamma”, lei sta nel box, o in braccio a mia madre o al mio (quasi) marito, io corro verso di lei, e rido, e la prendo, e la coccolo. Nel momento in cui mi allontano per tornare lei ride di gioia, solo al pensiero che il gioco sta per ricominciare è felice. Nell’attesa, di me e del suo gioco preferito. Ed il suo sguardo gioioso è stato capace di spiegarmi molto meglio di tutta la poesia di Leopardi l’attesa della felicità. Senza parole, senza infinito né luna, l’attesa ha avuto un senso. Il più poetico. Il più vero.
- Pubblicato in Diario di una donna trafelata
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