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La Riforma Agraria

La Riforma Agraria

Il problema della distribuzione della terra è di vecchia data e risale ai fratelli Gracchi nella Roma repubblicana, in particolare a Tiberio. Eletto nel 133 a.c. tribuno della plebe presentò un progetto di riforma agraria che prevedeva la limitazione della proprietà privata e la distribuzione delle terre, riacquistate dalla stato, ai contadini che ne facevano richiesta. Tale legge continuò ad esistere tanto che Virgilio, il grande poeta latino, fu vittima di un’ulteriore distribuzione, questa volta ai veterani dell’esercito.
Durante il Medio Evo la questione non si pose dal momento che col feudalesimo le terre erano nelle mani della nobiltà e i contadini erano ridotti a servi della gleba, anche se periodicamente esplodevano moti rivendicativi specialmente in Francia e nel Nord Italia.

La questione fu ripresa dopo la rivoluzione francese con la soppressione della feudalità e di tutti i diritti ad essa connessi. Infatti sia in Francia che nel resto d’Europa si incominciò a pensare alla ridistribuzione delle terre sottratte ai feudatari. Se in alcuni paesi la cosa funzionò in altri come il regno delle Due Sicilie il progetto di riforma, realizzato da Gioacchino Murat, rimase sulla carta poiché il ritorno sul trono dei Borbone fece ripiombare il regno agli anni precedenti la rivoluzione.
Tuttavia lo spirito riformista portato dai francesi continuò ad essere presente nella mente dei contadini che anelavano ad un pezzo di terra e già durante la rivolta del 1848 fu riproposto il problema della terra senza successo poiché, passato il pericolo, il re Ferdinando II con l’aiuto dell’Austria represse ogni velleità di cambiamento.
La questione ritornò a farsi cogente con l’arrivo di Garibaldi in Sicilia quando promise ai Siciliani le terre demaniali in cambio del loro aiuto per cacciare i Borbone. Ancora una volta però la delusione fu enorme perché il nuovo regno d’Italia anziché distribuire la terra ai contadini pensò bene di metterla in vendita per far fronte alle carenze finanziarie andando ad ampliare i possedimenti dei grandi proprietari terrieri. Questa fu una delle cause del Brigantaggio che ben presto imperversò nel regno delle Due Sicilie.
Il Fascismo non si occupò della questione anche se intraprese alcune iniziative come la sanificazione dell’agro pontino e di altre zone.
Con la caduta del Fascismo e la costituzione del secondo governo Badoglio Si riaprì il problema ad opera di un ministro calabrese, Fausto Gullo, definito il ministro dei contadini, che con tre decreti (i famosi Decreti Gullo) pose fine al latifondo attraverso l’esproprio e la distribuzione delle terre ai contadini organizzati in corporativa. Sorse così il movimento di occupazione delle terre che vide protagonisti i contadini dei paesi della valle dell’Esaro sorretti dalle amministrazioni locali che nel frattempo erano state elette democraticamente. Per esempio i contadini di San Lorenzo del Vallo guidati dall’allora sindaco Ostili Ciliberti, occuparono le Ischie Vote del Barone Longo.
Questo grande movimento di massa che potremo definire un’epopea non durò molto perché caduto Badoglio e formato un nuovo governo guidato dal Democristiano Alcide De Gasperi, le cose cominciarono a cambiare dal momento che alla DC di allora le posizioni di Gullo sembrarono troppo vicine a quelle dell’Unione Sovietica e quindi non praticabili in Italia. Per cui la questione fu congelata per qualche anno finché nel 1950 il ministro Antonio segni non varò una riforma organica che prevedeva la lottizzazione delle terre e la distribuzione ai contadini nulla tenenti dando vita nel contempo agli enti di sviluppo che nelle varie regione acquistarono nomi diversi. Per la Provincia di Cosenza fu costituito l’Ente Sila col compito di assistere gli assegnatari, ma con un pizzico di malignità possiamo dire per mantenere legati alla DC le masse contadine meridionali.
Fu utile la riforma Segni? Per molti aspetti sì perché permise a tanta gente che viveva in povertà di avere un pezzo di terra, per altri no perché, a causa dell’eccessivo frazionamento, non permise la nascita di una vera azienda agricola tanto che alcuni assegnatari preferirono vendere le quote ed emigrare.

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